|Tech| La natura della luce


« There are therefore now two theories of light, both indispensable, and – as one must admit today in spite of twenty years of tremendous effort on the part of theoretical physicists – without any logical connections. (A. Einstein. The Compton Experiment.)»

Troppo spesso lo dimentico, ma la vera ragione per cui ho scelto il mio percorso di studi è la luce. Da sempre, o quasi, questo fenomeno mi affascina moltissimo. I fulmini, la corrente, le onde elettromagnetiche ed il sole stesso, sono, in una certa misura, tutti diversi aspetti di questo stesso fenomeno. La luce, infatti, ha una doppia natura denominata “dualismo onda – particella”. Il fotone (dal greco , luce) è il quanto associato alla parte di spettro elettromagnetico che risponde al nome di luce visibile, anche se potrebbe essere associato a qualunque altro tipo di radiazione elettromagnetica. Ciò che noi vediamo non è, in ogni caso, l’effetto di un singolo fotone, bensì la loro sovrapposizione.

Ma torniamo un po’ indietro nel tempo all’incirca al XVIII secolo. Uno dei più noti esperimenti sulla luce si deve ad Isaac Newton che riuscì ad osservare la scomposizione del fascio di radiazione luminosa in colori. Col suo esperimento riuscì a visualizzare, in una stanza buia, i colori dell’arcobaleno dal rosso al violetto secondo una sequenza sfumata che fu chiamata spettro della luce facendo passare un fascio luminoso sottile, ottenuto schermando una finestra con una tavola forata, attraverso un prisma di rifrazione. Con questo, ed un’altra lunga serie di esperimenti, Newton ipotizzò la natura corpuscolare della luce partendo dall’osservazione della scomposizione della luce bianca in colori, interpretata come composizione di corpuscoli di diverse dimensioni che, entrando in contatto con mezzi diversi dall’aria, venivano deviati (diffratti) in misura maggiore andando dal violetto al rosso. Immaginò anche che tra i colori potessero esserci delle relazioni armoniche come tra le sette note musicali e che i colori adiacenti sviluppassero rapporti armonici, mentre i colori complementari avessero tra loro una relazione dinamica. Circa vent’anni prima Christian Huygens aveva proposto un modello secondo il quale la luce si propagava sotto forma di onde, in un processo similare a quello di propagazione del suono. Questo modello infatti spiegava bene fenomeni quali diffrazione, riflessione e scomposizione della luce in colori, ma cadeva in contraddizione nello spiegare le ombre. Un altro grande limite era dato dal fatto che l’onda, ipotizzata meccanica, per propagarsi necessitava di un mezzo elastico, che per altro venne individuato dallo scienziato nell’etere aristotelico definendolo come “il mezzo elastico presente in tutto il cosmo nel quale le onde luminose si propagano per compressione e rarefazione”. Le particelle del mezzo, urtandosi tra di loro per effetto della sorgente, avrebbero dovuto compiere movimenti oscillatori in grado di determinare il moto ondulatorio di propagazione della luce.

Agli inizi del secolo successivo Thomas Young effettuò alcuni esperimenti che sembravano stabilire in modo inequivocabile il carattere ondulatorio della luce. Egli dimostrò infatti che la luce poteva produrre effetti interferenziali del tutto analoghi a quelli delle onde meccaniche: in pratica, la luce poteva propagarsi anche in regioni che, secondo i princìpi della teoria corpuscolare, avrebbero dovuto restare in ombra. Un’ulteriore conferma di ciò arrivò quando Focault riuscì a dimostrare esattamente la velocità di propagazione, nel vuoto e nell’acqua, della luce stessa (le due teorie fornivano a riguardo ipotesi contrastanti). A risolvere la controversia arrivarono gli studi teorici di Maxwell sull’elettromagnetismo: “la luce non è un’onda meccanica, bensì elettromagnetica ed in quanto tale non necessita di un mezzo materiale per propagarsi, ma lo fa nel vuoto”. Ma ancora non tutti i fenomeni luminosi erano spiegati dalla teoria elettromagnetica, come gli spettri di emissione e assorbimento delle diverse sostanze. E mentre Maxwell classificava le onde luminose come onde elettromagnetiche trasversali, fu Hertz che riuscì a dare conferma sperimentale del modello elettromagnetico e a dimostrare che la velocità delle onde elettromagnetiche era la stessa della luce nel vuoto e che queste differivano da quelle luminose per la sola lunghezza d’onda. I suoi studi suscitarono l’interesse di illustri menti dell’epoca, come quelle di Einstein e Planck.

Agli inizi del XX secolo il fisico Planck ipotizzò che, per spiegare correttamente i risultati ottenuti fino a quel momento, era necessario “quantizzare” gli effetti della radiazione elettromagnetica in modo da considerare lo scambio energetico tra le particelle. Quasi contemporaneamente Einstein suppose che i quanti di energia o fotoni componessero la luce e che questi, urtando con altri atomi, trasmettessero agli elettroni periferici un’energia tale da provocarne l’emissione. L’energia di un fotone non è continua ma è proporzionale alla frequenza della radiazione a cui appartiene. Einstein capì inoltre che la percezione del fenomeno era insita nella relatività del moto dello stesso, in quanto l’osservazione del movimento presupponeva l’illuminazione dell’oggetto. A quel punto, assumendo che non ci fosse nulla di misurabile più veloce della luce, immaginò di “cavalcare un’onda luminosa che portasse informazione sul movimento”. Da qui nacque la necessità di modificare le dimensioni relative allo spazio e al tempo in cui si osserva il fenomeno e si posero le basi per la teoria della relatività.

Forse la sua duplice natura, o forse il suo esser necessaria per la nostra vita, ha fatto sì che il fascino esercitato sull’uomo dalla luce rimanesse invariato nel tempo, o forse è stata soltanto curiosità, ma come sempre è la curiosità che muove la scienza.

Chiara D’Angelo